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Le cosiddette “allucinazioni” dell’Intelligenza Artificiale — ovvero affermazioni errate, inventate o fuorvianti — continuano a rappresentare una sfida cruciale. Eliminare del tutto queste distorsioni si è rivelato complesso, e il dibattito resta aperto. Per affrontarle, sono state sviluppate tecniche sempre più sofisticate di analisi e addestramento, spesso accompagnate da nomi suggestivi come Deep Search o Deep Reasoning. Ma se da un lato queste soluzioni mirano a rafforzare l’affidabilità dei sistemi, dall’altro rischiano di alimentare un ulteriore fenomeno: l’automation bias, ovvero la tendenza a fidarsi ciecamente di ciò che l’IA produce, proprio perché sembra più “intelligente”.

L’illusione di un processo cognitivo

Soluzioni come Deep Search e Deep Reasoning sono state sviluppate con l’obiettivo di ridurre l’improvvisazione nei modelli linguistici, guidandoli verso risposte più ragionate e fondate. Ma cosa significano davvero questi termini? E, soprattutto, quanto hanno effettivamente contribuito a migliorare l’affidabilità dell’IA?

Con “Deep Search” si indica la capacità di alcuni modelli di IA avanzati di effettuare ricerche autonome in tempo reale, accedendo al web o a database aggiornati per recuperare informazioni pertinenti e verificabili. Questi sistemi dovrebbero elaborare le informazioni in modo più incisivo rispetto ad una mera ricerca di dati, analizzando le fonti per integrarle nelle risposte e fornendo citazioni.
Con “Deep Reasoning“, invece, si fa riferimento alla capacità di un modello di elaborare informazioni attraverso un processo strutturato per simulare un ragionamento logico, articolato in passaggi sequenziali. A differenza dei modelli generativi tradizionali, che producono risposte basate principalmente su pattern statistici, i modelli dotati di Deep Reasoning scompongono i problemi complessi. Questa frammentazione in fasi dovrebbe permettere al modello di analizzare le informazioni in modo più critico,
identificando errori nel proprio ragionamento e correggendoli autonomamente.

La sinergia tra queste due funzionalità è in linea di principio un significativo avanzamento nell’IA. Modelli in grado non solo di accedere a informazioni aggiornate e verificabili, ma anche di elaborarle attraverso un processo strutturato che non dovrebbe dipendere quanto prima sulla probabilità della combinazione delle parole.
Nella pratica, tuttavia, queste nuove soluzioni possono comunque presentare errori e allucinazioni non sono sparite. Anzi, secondo uno studio riportato da The Week, alcuni modelli recenti mostrano tassi di errore rispettivamente del 33% e del 48% in scenari controllati (va precisato che ad oggi l’indagine sulle causa è ancora aperta e non possiamo necessariamente dedurre un legame diretto tra le soluzioni proposte e un incremento di allucinazioni).

A fronte di questi numeri, un dato certo c’è, le allucinazioni nei modelli di intelligenza artificiale sono ancora un problema attuale. Anche tecniche avanzate come Deep Search e Deep Reasoning, pensate per rendere le risposte più precise e affidabili, non offrono risultati sempre coerenti. In alcuni casi, possono persino contribuire a nuovi errori. Ad oggi, non esiste una soluzione davvero efficace e stabile per ridurre in modo significativo questi scivoloni dell’IA, figuriamoci eliminarli del tutto.

I rischi legali dell’implementazione dell’AI

Nel crescente utilizzo dell’intelligenza artificiale nei contesti professionali e aziendali, il fenomeno delle cosiddette “allucinazioni” è un potenziale fattore di rischio da tenere a mente. Strumenti basati su Deep Search e Deep Reasoning, sebbene progettati per aumentare la precisione, possono occasionalmente produrre contenuti inventati con tale sicurezza da indurre in errore chi li utilizza senza le dovute cautele.
Approcciare lo strumento con occhio critico, senza cadere nell’automation bias, mettendo in discussione le risposte è fondamentale.
Per una PMI che utilizza l’IA per redigere report, analisi di mercato o documentazione tecnica, affidarsi a dati inesatti può comportare conseguenze reputazionali e in tema di responsabilità contrattuale (e non solo). Pensiamo, ad esempio, all’inserimento inconsapevole di informazioni infondate in un bilancio, in una presentazione a investitori o in una comunicazione ufficiale. Errori di questo tipo possono tradursi in danni economici o contestazioni per negligenza.
Il problema cruciale delle allucinazioni è la loro natura insidiosa. I modelli linguistici le presentano con uno stile persuasivo e un’apparente autorevolezza che rendono particolarmente difficile identificarle senza un’attenta verifica.
Come visto, questi output fuorvianti possono distorcere fatti o presentare informazioni contraddittorie, influenzando potenzialmente la fiducia e il processo decisionale dell’utente. Per questo motivo, la supervisione umana rimane indispensabile.
Attenzione però a non cadere nell’eccesso opposto: diffidare completamente dell’IA. Si tratta di uno strumento prezioso, capace di semplificare e velocizzare molti processi, purché utilizzato con consapevolezza. Soprattutto in ambito professionale, è fondamentale ricordare che anche i modelli più evoluti hanno bisogno di una supervisione umana attenta: l’efficienza dell’IA dà il meglio di sé quando è affiancata dal giudizio critico di chi la utilizza.

Articolo in collaborazione con AW LEGAL
AW LEGAL è lo Studio legale focalizzato sulla Properietà Intellettuale, Privacy e Legal Tech.